VENOSA E LA SUA STORIA

VENOSA E LA SUA STORIA

 

P1100084.JPGCi dovevamo ritirare con l’Aglianico, e invece siamo tornati a casa… con due pezzi di sapone. Fatti in casa, però! L’unico previdente fu Luciano che, al mattino, quando qualche negozio era aperto, in quella domenica a Venosa, adocchiata un’enoteca, la sua bottiglia di vino la comprò. Gli altri, all’asciutto!

Certo per una gita a Venosa, patria dell’Aglianico del Vulture – una delleP1100090.JPG emergenze enologiche dell’area, e non solo – aver fallito un così significativo incontro non è stato il massimo. Nemmeno lui, Massimo, del resto, è stato previdente ma forse a lui dell’Aglianico non importava. Per me, invece, per dirla con i detti antichi, è stato un po’ come ritirarmi con le pive nel sacco – pare che si dicesse degli eserciti sconfitti, che al ritorno a casa non potevano suonare, come in caso di vittoria, trombe, corni, cornamuse, ciaramelle e pive – appunto – che rimanevano così in fondo al sacco, inutilizzate.

P1100094.JPGI due pezzi di sapone di cui sopra li acquistammo – e forse era l’unica possibilità di comprare qualcosa, in città – da una signora che, fuori dall’uscio di casa, offriva la sua modesta mercanzia al gruppo di solerti turisti – noi – che si recava a passo sostenuto, lungo il corso cittadino, a visitare l’area archeologica di Venosa. La gran parte degli esercizi commerciali, infatti, risultava chiusa. Nessuno ci assillava, proponendoci i ricordini e la varia paccottiglia che è sempre la stessa, o quasi, in tutte le località turistiche. Ma questo, forse, ha a che vedere con il più celebre figlio di Venosa, Orazio, che non si curava più del necessario di accumulare denaro e ricchezze – grazie, lui aveva alle spalle uno come Mecenate, che lo campava! – preferendo, invece, la sua dorata semplicità, fatta di costumi e abitudini, se non spartani, certamente frugali e semplici. Chissà, forse la sua stessa indole è stata assimilata dai suoi concittadini del terzo millennio!P1100097.JPG

Ma non è il caso di proseguire oltre, in questa sconclusionata analisi sociologica.

Un altro detto per indicare chi si ritira mogio, mogio, è il locale: ritirarsi carichi di meraviglia, ma di questa espressione non so dare una spiegazione credibile.

Comunque sia, con un po’di meraviglia – in senso quasi letterale – da Venosa ci siamo ritirati. È pur vero, per dirla ancora con gli antichi, che la meraviglia è figlia dell’ignoranza – mai dare a vedere il proprio stupore di fronte a cose che non si conoscono, meglio dissimulare, per non mostrare la propria ignoranza – pure di cose su Orazio, sulla sua indole, la sua vita, la sua poetica, oltre, naturalmente che sulla sua città ne abbiamo apprese parecchie, grazie a Marisa nostra valente guida.

P1100106.JPGSe poi siamo riusciti a dissimulare la nostra meraviglia, non so.

Oltre al vino, anche l’acqua ha fatto difetto. Dovevamo fermarci alla Fons Bandusiae cantata dal poeta ma la pioggia – quest’acqua, sì, l’abbiamo, sia pure con moderazione, provata – e una strada sterrata non percorribile dal nostro pullman ce lo hanno impedito.

In compenso la nostra gita a Venosa si è dispiegata con un programma intenso e sfruttato al meglio. Su e giù per la cittadina, a visitare la cosiddetta Casa di Orazio, l’Incompiuta, la Cattedrale, le vie e le piazze del borgo antico e, infine, P1100107.JPGl’Abbazia della Trinità, di fronte all’Anfiteatro dal quale vennero prelevate le pietre che furono poi impiegate per la costruzione della nuova chiesa – prolungamento della Trinità – mai completata.

Una visita interessante – che meriterebbe una ripassata, non solo per l’Aglianico ma anche per visitare, se mai si ottenessero i permessi, il sito paleolitico di Notarchirico e le catacombe ebraiche e cristiane della città – conclusa, con torta, birre e consumazioni varie, nel deserto e metafisico Borgo Taccone.

 

Pino Pace

 

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